Si torna a casa una sera dall’ospedale, luogo che diventa per forza amico se non si vuole soffrire miseramente ogni volta in cui, proprio malgrado, un’apprensione per qualche sintomo particolare ti ci fa portare la tua bambina.
Torniamo a casa, dicevo, dopo tre giorni di Gea, in ogni senso. Figlia e diagnosi in tre lettere: Gea, il suo nome, e GEA, l’acronimo francese di gastroenterite acuta – gastroentérite aiguë. Parte così l’inevitabile sfottò d’Oltralpe, l’interno di turno proprio non ce la fa a non fare la sua irresistibile boutade. Lascerei pure passare, alla fine il problema non è nulla di troppo grave. Ma la bambina piange per non farsi visitare e lui rincara: – Ah! Non voglio dir nulla sugli italiani ma promette bene la bambina, è pronta per fare cinema!
Va bene, penso, a testate non avrei speranza – la storia me lo insegna – ma se vogliamo giocarcela sugli stereotipi be my guest.
beh, non c’è dubbio che stereotipi e luoghi comuni contengano molti elementi di verità.
il guaio però è che qualsiasi verità, a seconda delle circostanze può rivelarsi una mezza verità, una balla o un vuoto luogo comune.
: ))
in bocca al lupo per la piccola, atom earth father.
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Senza indugio scelgo l’opzione “stereotipi come verità assolute”, almeno diventano utili per scherzarci su o fare autocritica.
Grazie per l’incoraggiamento, crepi il lupo!
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